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18 settembre 2008

Spyware? sul pc dei figli!

Evidentemente collaborare con me porta bene. Approfittatene!
Gloria, poco dopo avere iniziato a scrivere per questo blog si è trovata in "situazioni lavorative impegnative", e non è la prima a cui accade. Le auguro il meglio e spero che torni presto ad arricchire questo blog dei suoi preziosi articoli.

Qualche giorno fa ho letto l'articolo "Installare spyware? Sì, ma solo sul Pc dei figli" e ho chiesto a lei la sua opinione. Ecco la sua risposta.
COMUNICAZIONE GENITORI - FIGLI
La Comunicazione trova la sua ragion d'essere dalla interpersonalità del rapporto che, proprio per la sua natura, dovrebbe essere biunivoco, ovvero, prevedere due o più soggetti che parlano tra loro senza accavallamenti e sovrapposizioni, in una sorta di botta-risposta. Premesso questo, nel rapporto genitori-figli, pur rispettando ogni regola base di buona educazione e la gerarchia dei ruoli, che come sempre dico si stanno via via perdendo di vista, non è permesso un botta e risposta alla pari, però si dovrebbe prevedere un qualche minimo confronto in virtù di quella che per antonomasia viene definita relazione vis-a-vis. Ora, nel momento in cui si tratta di "spiare" le comunicazione dei figli, come mi chiedi, si parte dal presupposto che le premesse sopra citate vengano meno. Se il genitore spia il figlio, cosa che già dall'inizio trovo francamente non essere corretta da un punto di vista del rispetto personale del figlio, vuol dire che tale genitore non si fida del proprio figlio, dando vita ad una serie numerosa di domande. La fiducia è l'elemento fondamentale in ogni rapporto. Lo è nel lavoro, in amicizia, nell'amore e ancora di più nei rapporti parentelari stretti. Vero è che la fiducia va conquistata e mantenuta, ma questo è un tipo di allenamento che dovrebbe esser fatto al sorgere del rapporto, contemporaneamente all'acquisizione del ruolo di genitore. Il genitore che si trova a dover spiare il proprio figlio per capirci qualcosa o sapere cosa fa, monitorando il cellulare, controllando il computer e quant'altro, potrebbe apparire in prima istanza come una forma di tutela del proprio figlio o eccesso di amore, ma munendoci di lente di ingrandimento e guardando meglio da vicino il fenomeno, ci accorgeremmo che il figlio spiato non è affatto contento di questo. C'è allora qualcosa che non torna. Credo che il lavoro grosso per un genitore da fare debba essere quello di spiegare fino allo sfinimento ai propri figli quello che è giusto e quello che non lo è, evidenziando in maniera chiara e palese i molteplici rischi che si possono correre percorrendo strade poco raccomandabili. I figli non sono affatto stupidi, hanno solo voglia di trasgredire. Cosa c'è di meglio che eludere la sorveglianza deridendo il proprio padre o la propria madre? Piuttosto che ridursi a spiare, credo, sarebbe più proficuo preoccuparsi di instaurare un dialogo aperto nel rispetto di tutti favorendo quindi la reciproca conoscenza alla luce di quelli che ritengo possano essere in sintesi i valori più importanti: amore, fiducia e rispetto; non obbligatoriamente nell'ordine citato.
G.M.
Grazie Gloria.
Se volete possiamo continuare a discuterne tra i commenti. E' un argomento che mi interessa molto.

30 giugno 2008

Il Bullismo da "dentro"

Si è concluso il 25 giugno scorso il Convegno BULLISMO: S.O.S. STRATEGIE PREVENTIVE ED INTERVENTO SUL TERRITORIO.
Il mio contributo ha dato un assetto “morfologico” al fenomeno del Bullismo, di cui molto si parla, ma che spesso non è ancora noto, specialmente per gli effetti che ha sulla “vittima”.
Il fenomeno vede oggi nascere la figura di quello che il Prof. Vincenzo Maria Mastronardi definisce il Cyber-bullo: in Italia è percepito dal 35% degli adolescenti e che inizia nelle fasce di popolazione più giovane, in bambini dai sette ai dieci anni.
A livello Europeo il “primato” è del Regno Unito per la forte presenza di baby gang: la percezione del fenomeno del bullismo tra i giovani qui arriva al 48%, mentre l'Olanda è il Paese meno colpito (16%). I dati emergono da un'indagine condotta sugli adolescenti dei 27 Paesi europei e li ha illustrati la Dottoressa Roberta Angelilli, coordinatrice delle Politiche per l'infanzia del Parlamento Europeo.
Al Convegno ho conosciuto Marco Cappelletti, un giovane che oggi conduce una vita normale, ma che qualche anno fa era in piena crisi esistenziale, chiedendosi “perché io, cosa ho fatto di male”. Le sue parole, i suoi racconti, in alcuni tratti molto toccanti, ci hanno raccontato da “dentro” quello che succede, quello che si prova e quanto può far male all’anima il “divertimento degli altri”. A Marco voglio dire che “è una grande persona” e non una persona grande: a volte i “grandi”, cioè gli “adulti”, possono esserlo molto meno rispetto ai più giovani per età.
Se siete interessati alla tematica non esitate a contattarmi.
Un caro saluto,
GM

18 giugno 2008

Convegno sul Bullismo - Roma, 25 giugno 2008

Ciao a Tutti e ben trovati,

spero scuserete la mia prolungata assenza, ma un evento importante del quale vorrei parlarvi, mi ha assorbita quasi completamente.
Ringrazio intanto Max per la possibilità di mettere in evidenza la Manifestazione, e ringrazio ovviamente tutte le persone che la hanno resa possibile, dagli Organizzatori ai Docenti.
L’evento al quale faccio riferimento è il SANIT - 5° Forum Internazionale della Salute - Roma, 23 al 26 giugno 2008. (http://www.sanit.org/); in particolare vorrei segnalarvi il Simposio dal titolo: “BULLISMO: S.O.S. STRATEGIE PREVENTIVE ED INTERVENTO SUL TERRITORIO”, che avrà luogo il prossimo 25 giugno dalle 9,30 alle 13,30, all'interno di questa importante Manifestazione e che mi vedrà per la prima volta, nelle vesti di Relatrice con un intervento sugli aspetti Sociologici del fenomeno.
Vi invito a partecipare numerosi, specialmente se siete a Roma o in zone limitrofe, perché la tematica è di grande attualità, il programma, che potrete vedere sul sito, è di grande rilevanza scientifica e molti degli eventi sono accreditati presso il ministero della Salute (crediti ECM), spero di vedervi presto.
Un abbraccio a tutti Voi!
GM http://www.sanit.org/

21 maggio 2008

Feti nel congelatore: Sindrome di Medea (Ultima parte)

Ricapitolando, il Mito greco narra di Medea che per vendetta nei confronti del marito uccide i propri figli.
Nella realtà la “Sindrome di Medea” presenta esattamente le stesse caratteristiche, pur avendo di base una madre che, di solito, è sofferente dal punto di vista psicologico - psichiatrico.
Queste donne, quando la relazione “di coppia” diventa ostile, utilizzano il figlio come “oggetto” per far soffrire il proprio compagno, cioè il padre.
Si può avere il caso di un omicidio singolo, di massa (con diversi figli uccisi insieme), oppure, seriale, (se i figli sono uccisi in momenti diversi fra loro).
La cronaca e i testi più specifici ricordano i casi di Ellen Etheridge del 1913 in Texas (uccise 4 figli) e Martha Ann Johnson 1977-1982 in Georgia (anche lei uccise 4 figli). A volte figli possono essere usati come arma di ricatto nei confronti del coniuge per non essere abbandonate e per vendetta per i torti subiti dallo stesso.
In Italia, possiamo ricordare Apollonia Angiulli che a Ostia, nel febbraio 1988, annega nella vasca da bagno di casa, due dei suoi tre figli, di 1 e 5 anni. Racconta e convince la polizia che si è trattato di incidente e non desta nessun sospetto. Ma quando il 9 marzo 1991, muore nello stesso modo il terzo figlio di 8 mesi, la Angiulli tenta il suicidio, viene salvata e arrestata. Indagini più approfondite scoprirono che la relazione coniugale della Angiulli era molto critica e l’uccisione dei figli era un “modo di attirare la attenzione del partner”.
Alla Angiulli è stata riconosciuta una parziale infermità mentale e la donna non è mai entrata in carcere né in ospedale psichiatrico.

Cosa c’è di più sconvolgente di una madre che uccide i propri figli?
L’immaginario collettivo non rimane tanto inorridito quanto davanti a notizie di questo genere. La “madre” è da sempre, (e secondo il mio modesto parere, lo sarà sempre) percepita dalla collettività come figura “contenitiva”, ed è difficile, pertanto, pensare a lei come a un soggetto che “toglie” la vita. Nessuna morale religiosa. E’ vero, anche i padri uccidono, non sporadicamente purtroppo, ma non sconvolgono tanto quanto se a farlo è una madre, questo perchè la figura materna è “generatrice”, per eccellenza.
Quando una madre uccide, nella maggior parte dei casi lo fa verso figli molto piccoli di età, possiamo parlare, infatti, di infanticidio (0-3 anni circa), ed è proprio questo il dato che desta orrore. Anche se i padri possono rendersi autori di un reato uguale, (generalmente) le vittime, ovvero i figli, sono più grandi, probabilmente in età adolescenziale, periodo di ribellione del figlio che vede la possibile “messa in discussione” del ruolo paterno\genitoriale. Ovviamente questo non giustifica assolutamente la realizzazione del reato, ma è solo una chiave di lettura della tipologia del reato in sé.
In questi casi la famiglia è come un “quadro” di una galleria dell’orrore, di quelli che non vorremmo mai venissero esposti, nel quale l’unico “punto di fuga” è tecnicamente quello della prospettiva, e non quello della vittima alla quale non è riservata nessuna “via di fuga”.

GM

15 maggio 2008

Feti nel congelatore: chi è Medea? (parte 1)

(per un disguido tecnico questo articolo è stato ritirato, rieccolo. Perdonateci)
Avrete letto tutti, o quantomeno sentito al telegiornale, la recente notizia quasi “inverosimile” proveniente da Wenden – Germania, di tre feti ritrovati nel congelatore […]. Le indagini sono in corso e non possiamo ovviamente entrare nel merito, di certo ognuno di noi si è fatto una opinione e anch’io, da studiosa del crimine, non ho potuto fare a meno di collegare l’evento criminoso alla “Sindrome di Medea”. Prima di contribuire con alcune mie riflessioni, per tutti gli appassionati e per tutte le persone che volessero saperne di più, vorrei sinteticamente introdurre il Mito di Medea. Considerate che spesso la Psicologia, riprende dalla Mitologia greca molti personaggi per “spiegare” la natura del fenomeno, in riferimento, appunto, alla storia del personaggio in questione. Basti pensare al “Complesso di Edipo”, oppure alla sua corrispondente femminile “Elettra”.
Medea è figlia di Eeta, re della Colchide, che significa "astuzie, scaltrezze", infatti la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri addirittura divini. Quando Giasone arriva in questa terra insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d'oro, lei se ne innamora perdutamente. A tal punto che per aiutarlo arriva ad uccidere il fratello Absirto, spargendone i resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave insieme al suo amato, divenuto suo marito. Il padre di Medea dovendo raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione di Giasone, e gli Argonauti tornano a Corinto con il Vello d'Oro.
Dopo dieci anni, però, Creonte, re della città, vuole dare sua figlia Glauce in sposa a Giasone, dandogli la possibilità di successione al trono. Giasone accetta, abbandonando così sua moglie Medea.
Vista l'indifferenza di Giasone di fronte alla disperazione della moglie, Medea medita una tremenda vendetta: fingendosi rassegnata, manda in dono un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che il dono è pieno di veleno, lo indossa e muore fra dolori strazianti. Anche il padre Creonte, corso in aiuto, toccando il mantello muore.
Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Secondo la tragedia di Euripide, per assicurarsi che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli avuti con lui e ne divora le carni: il dolore per la perdita porta Giasone al suicidio. La maggior parte degli storici greci del tempo di Euripide, tuttavia ricorda che i figli di Medea, che ella non riuscì a portare con sé, furono uccisi dagli abitanti di Corinto per vendetta.
Fuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole, Medea sposa Egeo, dal quale ha un figlio: Medo. A lui Medea vuole lasciare il trono di Atene, finché Teseo non giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all'ultimo istante Egeo riconosce suo figlio, e Medea è costretta a fuggire di nuovo.
Torna nella Colchide, dove si ricongiunge e si riappacifica con il padre Eete.

Questo è il racconto mitologico e la realtà, spesso, è ancora più agghiacciante, le riflessioni nella seconda parte.

La seconda parte verrà pubblicata lunedì p.v., a presto e buona lettura.
GM

06 maggio 2008

Presentazione

Buongiorno a tutti Voi.

Qualcuno (spero in molti) ha già letto qualche mio contributo, da oggi, visto l'invito che Max mi ha fatto e che con onore e piacere ho accettato, sarò un po' più presente in questo che ritengo essere un sito di grande interesse per i contenuti e di estrema originalità per lo stile.

Dato che irromperò - e forse "romperò" - nei vostri PC, mi sembra corretto fare una mia breve presentazione professionale in modo che possiate avere una idea un po' meno blanda di chi io sia.

Sono un dottore in Sociologia (dell'Educazione, Formazione e Risorse Umane) con un Master in H.R. e un Master in Criminologia (Scienze Forensi) che mi ha permesso di approfondire le tematiche criminali a me più care.

Mi occupo più approfonditamente di crimini violenti e di giovani, ma sono aperta al confronto su tutti gli argomenti che riguardano l'evento criminale.

Cercherò di offrire il mio contributo in modo originale e di rispondere ad eventuali vostre domande sul tema.

Vi aspetto numerosi, a presto.

GM

28 aprile 2008

Giochi on-line, il parere di Gloria Mazzeo

Ringrazio Gloria per il suo nuovo intervento, la ricorderete se avete seguito la serie di articoli su "Indagine e gioco".

Giochi on-line – Mad4Murder

I giochi on-line sono ormai entrati a far parte a tutti gli effetti del moderno divertimento.

Sono facilmente fruibili, a disposizione 24 ore su 24, non richiedono ai partecipanti interazione diretta, il classico face-to-face per intenderci, e quindi permettono di evitare il confronto con “l’altro”, al massimo richiedono una “reciprocità” basata sulla “conquista del record” per diventare il number one in classifiche nelle quali confluiscono fantasiosi pseudonimi. Permettono, per il tempo necessario dedicato al gioco, di assumere un’altra identità, di diventare qualcuno di diverso da sé, di reinventarsi e di lasciarsi andare lontano dagli sguardi indiscreti ed indagatori non solo dei genitori, insegnanti ed educatori, ma anche di mogli (e mariti) e colleghi, poiché questa tipologia di “distrazione” non è esclusiva del mondo giovanile.

Il gioco, e in particolare quello on-line, rappresenta un momento tutto personale da gestire in piena autonomia, ma ha il rovescio della medaglia (così è la vita!), e da studiosa sarei superficiale a non considerare i molteplici effetti che ne derivano.

Se da un lato il passatempo via Internet facilita la dimestichezza con il computer e con la rete mondiale, dall’altro, paradossalmente, ci allontana dagli Altri. Siamo soli col nostro PC nella nostra camera, e grandi o piccoli, non importa, entriamo in un mondo parallelo.

I rischi?

I sostenitori della teoria catastrofica pensano che ci possano essere effetti molto nocivi, come la dipendenza ad esempio; quelli più “faciloni”, che non c’è nessun pericolo. Io mi colloco, come qualche saggio prima di me ha suggerito, nel giusto mezzo.

I rischi possono esserci a determinate condizioni con determinati soggetti. L’uso del Personal Computer è diffusissimo e parlare di chi lo usa suddividendo per fasce di età, lo trovo un po’ demodè e restrittivo. Le postazioni Internet sono ovunque: scuola, casa, ufficio, Internet-point, aeroporti ecc... L’accesso è semplice e poco controllabile e i costi molto ridotti.

Non mi sento assolutamente di condannare questa risorsa, perché il gioco in se per sé non può e non deve essere un problema. Problematica potrebbe essere, invece, la percezione che i fruitori potrebbero avere del gioco. Sapere che si partecipa ad un gioco on-line vuol dire accettare di entrare in un mondo fatiscente ed irreale che necessita della distinzione netta tra verità e finzione. Non può un gioco insegnare questo, e se qualche soggetto lo recepisce in modo “sbagliato” è perché alla base dello stesso Soggetto manca l’adeguata formazione della linea di demarcazione che divide mondo reale e mondo irreale.

Premesso ciò, credo che un gioco studiato “a priori” con tanto di interventi di esperti e cultori della materia, sia un ottimo esempio di come questo tipo di prodotto dovrebbe essere confezionato.

In questo caso, a mio modesto parere, il Dottor Massimiliano Cuccia e Collaboratori hanno ingegnato qualcosa di veramente interessante: un gioco investigativo da fare on-line, dove le avventure oltre che vissute virtualmente, potranno anche essere scritte da tutti i partecipanti. Un richiamo fortissimo alla fantasia, alla creazione e all’ideazione che porta l’utente ad interagire, seppur in maniera virtuale, con altri utenti con la stessa passione che collaborano per la messa a punto di una spice-story: è indispensabile il confronto con altri Scrittori, Sceneggiatori e Ideatori dei quali tener conto per la messa in opera del Progetto. Ottimo direi.

Da appassionata del settore trovo interessante la possibilità di vestire i panni dell’investigatore e interrogare, cercare indizi, fare i sopralluoghi, dopo aver fatto una lavatrice o preparato la cena.

Direi a Massimiliano di far forza proprio su questo aspetto “mentale”: il crimine è cambiato moltissimo negli anni e i “delinquenti” di oggi sono molto preparati, specialmente se parliamo di soggetti esperti che si muovono in gruppo, ad esempio i rapinatori.

Oggi si ha a che fare con una tipologia moderna di intellettuali del reato, concedetemi l’espressione, che richiede necessariamente interventi forti con Inquirenti ben preparati sia dal punto di vista psicologico che della preparazione tecnica.

Risolvere un caso, significa districare il bandolo della matassa, possibilmente senza pistole e sparatorie stile far-west. Per questo il moderno detective deve in primis sapere, conoscere elementi di criminologia, criminalistica (che sono ben diverse), psicologia, sociologia, antropologia, medicina legale, balistica (…) senza, ovviamente, dimenticare una sana dose di intuito alla Sherlock Holmes.

Un gioco come quello proposto dal Team di Massimiliano è una novità almeno nel nostro Paese. Mi sento di dare il mio piccolo e modesto contributo con qualche suggerimento:

  • rendere l’utente più persona e meno fantasma assegnando “un’identità virtuale” costante che, di volta in volta, può essere ripresa dallo stesso utente, in questo modo si limiterebbe la spersonalizzazione e si permetterebbe ai soggetti di “Essere”on-line;

  • inserirei un punteggio che permetterebbe di avere alla fine un vero e proprio profilo del detective, stimolando quindi al risultato per “scoprire” il proprio lato oscuro, una idea potrebbe essere l’inserimento della figura del Profiler;

  • nella creazione della storia proporrei agli utenti degli elementi fissi (esempio, le variabili spazio – temporali: città, luogo, ambientazione, epoca ecc…) da elaborare e mettere a confronto con gli altri;

  • cosa importante limiterei le “americanate”: mega esplosioni per uccidere un “povero” criminale ecc…;

  • e forse, caro Massimiliano, potremmo anche indire un concorso letterario per il miglior fantasista di genere.

Agli utenti, che spero saranno davvero moltissimi, mi permetto di ricordare una banalità, ovvero, di non usare le armi, ma di “usare il cervello”, unica vera arma imprevedibile.


Dottoressa Gloria Mazzeo
Sociologo e Criminologo
e-mail gl.mazzeo@tiscali.it

11 febbraio 2008

Indagine e Gioco: la “mosca cieca” è quella che non vede bene?

Oggi ho il piacere di ospitare il Guest Post di Gloria Mazzeo, sul tema "Indagine e Gioco", leggi il regolamento.

Potrebbe sembrare banale, ma per evitare fraintendimenti credo sia necessario iniziare esplicitando cosa intendo quando parlo di gioco. Il concetto rimanda, ringraziando i numerosi dizionari enciclopedici consultati, ad un'attività ricreativa, ad un passatempo che può coinvolgere una o più persone, ovvero i giocatori, che ha alla base degli elementi fondamentali: l’obiettivo da raggiungere nell’ambito del gioco, le regole da seguire per farlo e gli eventuali ammonimenti per la trasgressione della regola. Oltre ad essere opportunità di intrattenimento, il gioco si è rivelato molto spesso ottimale nell’ambito educativo: si pensi ad esempio ai giochi basati sulle lettere, sulla memoria, sul ragionamento, senza però trascurare l’elemento “ics”, la fortuna, da non sottovalutare ad esempio, nei giochi d’azzardo.
Non tutti sanno che il gioco è materia di studio vera e propria e che discipline illustri ed applaudite vengono coinvolte nell’analisi del “momento ludico”. Di giochi, e conseguentemente di studiosi del gioco ce ne sono moltissimi, così come di divergenti teorie. Caratteristica comune che mi permetto di evidenziare è quella di “gratuità” del gioco. Non è necessario che ci siano soldi e o montepremi, ogni volta che si gioca si ha un atteggiamento ricorrente: sia di sfida, anche contro se stessi, sia di formazione, che non necessariamente richiedono il raggiungimento di un traguardo a premi.
Per chi volesse approfondire, tra le diverse discipline ricordo l'approccio filosofico di Johan Huizinga, ad esempio, nell'opera Homo ludens (1938) che vede il filosofo olandese concentrato sul gioco come complesso sistema culturale, ancora Gregory Bateson, invece, che individua l'essenza del gioco nel suo essere metalinguaggio poiché i giochi sono qualcosa che "non è quello che sembra" stabilendo una metacomunicazione. E’ la psicologia che più di ogni altra disciplina ha visto nel gioco un vero e proprio protagonista dello sviluppo della personalità del bambino. Si pensi ai contributi di Jean Piaget, cognitivista che riconosce al gioco una funzione centrale nello sviluppo della sfera cognitiva personale e della personalità e dello psicologo russo Lev Vygotskij, che considera il gioco anche come forza attiva per l'evoluzione affettiva ed umana del ragazzo. Da sociologo mi soffermerò un po’ di più su questo approccio, sostenuto da Roger Caillois (Reims, 13 marzo 1913 – Kremlin-Bicêtre, 21 dicembre 1978) scrittore, sociologo e critico letterario francese. Il gioco viene analizzato dallo studioso alla luce di molteplici caratteristiche:
  • Libera: il giocatore non può essere obbligato a partecipare;
  • Separata: entro limiti di spazio e di tempo;
  • Incerta: lo svolgimento e il risultato non possono essere decisi a priori;
  • Improduttiva: non crea né beni, né ricchezze, né altri elementi di novità;
  • Regolata: con regole che sospendono le leggi ordinarie;
  • Fittizia: consapevole della sua irrealtà.

L’autore propone una classificazione dei giochi in base a quattro categorie:
  • Giochi di competizione: sia sportive che mentali;
  • Giochi di azzardo: tutti i giochi dove il fattore primario è la fortuna;
  • Giochi di simulacro: i cosiddetti "giochi di ruolo" dove si diventa "altro", ovvero, si simula;
  • Giochi di vertigine: tutti quei giochi in cui si gioca a provocare noi stessi.

Sulla base di queste classificazioni, Caillois costruisce una sociologia che parte dai giochi in quanto "segni" profondamente connotati, sintesi delle diverse concezioni del mondo e delle società in cui sono in uso.

Ma dal contributo di Caillois a oggi, che cosa è cambiato?
Molto, oserei dire, troppo. Mi spiego: in uno spazio temporale relativamente ristretto la società si è evoluta in dimensioni e tipologia, in modo più che repentino. I ruoli, i mestieri, gli adulti, i bambini, i contesti e le relative linee di demarcazione sono cambiate, in alcuni punti si sono ristrette, in altri sono diventate inesistenti. E’ impensabile che il gioco, elemento educativo, non ne venisse travolto. Faccio un banale, ma reale esempio che mi ha fatto tanto sorridere: se trenta anni fa giocare a mosca cieca era un divertente passatempo, oggi non è nemmeno elencato tra i giochi dai bambini. In una mia ricerca empirica condotta presso una scuola elementare di Roma, alla domanda “come si gioca a mosca cieca”, alcuni bambini hanno risposto di non saperci giocare, altri che non sanno neanche della sua esistenza e altri ancora hanno dato risposte di fantasia dicendomi che è una mosca che va aiutata perché non vede bene!
Gli stessi intervistati hanno dimestichezza da maestri nei giochi on-line, che sono ormai entrati prepotentemente a far parte del moderno divertimento.
Perché riscuotono tanto successo? Per diversi motivi: sono facilmente fruibili, a disposizione 24 ore su 24, non richiedono interazione e quindi confronto diretto con nessuno, non necessitano di spazi esterni alla propria casa, che purtroppo ahimé oggi rappresentano anche un pericolo oggettivo, senza dimenticare che a volte questi giochi, dalla play-station ai giochi in rete, rappresentano dei veri e propri “baby-sitter” su misura e collaborano con i genitori impegnati entrambi fuori dal focolare domestico. Al giocatore permettono, spero solo per il tempo necessario dedicato al gioco, di assumere un’altra identità, di diventare qualcuno di diverso da sé, di lasciarsi andare lontano dagli sguardi indiscreti ed indagatori non solo di genitori, insegnanti ed educatori, ma anche di mogli (e mariti), colleghi e altri ruoli appartenenti al mondo adulto. Il gioco, in particolare quello on-line, rappresenta un momento tutto personale da gestire in piena autonomia, ma ha il rovescio della medaglia (così è la vita!), e da studiosa sarei sciocca a non considerare i possibili effetti.
Se da un lato il passatempo via internet facilita la dimestichezza con il computer e con la rete mondiale, dall’altro paradossalmente ci allontana dagli altri. Siamo soli col nostro PC nella nostra camera, e grandi o piccoli, non importa entriamo in un mondo parallelo. I rischi? I sostenitori della visuale più catastrofica affermano che ci possano essere effetti molto nocivi, come la dipendenza dal gioco ad esempio, quelli più ottimisti, che non c’è nessun pericolo. Io mi colloco, come qualche saggio prima di me, nel giusto mezzo. I rischi possono esserci a determinate condizioni con determinati soggetti. L’uso del PC è oggi diffusissimo e parlare dei soggetti che ne usufruiscono suddividendoli per fasce di età, lo trovo un po’ demodè. Le postazioni Internet sono ovunque: casa, ufficio, Internet-point. Il fenomeno investe trasversalmente la società: l’accesso è semplice, poco controllabile e i costi molto ridotti. Non mi sento assolutamente di condannare questa risorsa, perché la reputo tale, ed il gioco in se per sé non può e non deve costituire un problema. Problematico, al contrario potrebbe essere, il messaggio che i fruitori percepiscono, ognuno secondo la propria inclinazione. Sapere che si partecipa ad un gioco on-line vuol dire accettare di entrare in un mondo fatiscente ed irreale che necessita della distinzione netta tra verità e finzione. Ovviamente, non può un gioco insegnare questo, specialmente dove non c’è la presenza di una persona in “carne ed ossa” che spieghi le regole. Il distacco tra il mondo reale ed ir-reale è (o dovrebbe essere) un a priori e se alcuni soggetti recepiscono un messaggio diverso da quello originale inviato dal mittente, la causa non può essere ricercata nel messaggio. Probabilmente non c’è stato un adeguato lavoro di formazione ed educazione tale da far nascere nel soggetto-destinatario la consapevolezza che esiste un piano parallelo alla realtà, si pensi alle produzioni cinematografiche, televisive e alle simulazioni in genere, che esistono contemporaneamente alla realtà, ma che non lo sono.
Credo che ogni fenomeno sociale dovrebbe essere considerato alla luce del contesto di riferimento e all’identità personale del soggetto. Il gioco è un elemento di primaria importanza nella crescita e nella socializzazione a tutte le età. I pericoli che possono derivare da un qualsiasi gioco andrebbero di volta in volta studiati in relazione ai destinatari, pertanto l’errore più grande che un ideatore e uno studioso del campo possano commettere è quello di peccare di leggerezza e superficialità. Pur riconoscendo l’alto grado di complessità di una previsione in tal senso è, oggi più che mai, indispensabile a mio avviso che gli addetti ai lavori programmino una pianificazione molto dettagliata.

Dottoressa Gloria Mazzeo
Sociologo e Criminologo
e-mail gl.mazzeo@tiscali.it