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03 marzo 2008

Indagine e gioco: nelle console

Oggi ho il piacere di ospitare il Guest Post di Claudio Ortolina, sul tema "Indagine e Gioco", leggi il regolamento.

Il rapporto tra videogioco e indagine non è certo una novità, ma fino a un paio d'anni fa era appannaggio dei soli possessori di un pc. Le console, prive di un sistema di controllo come il mouse, erano poco adatte alle meccaniche di gioco dell'indagine.
Come tipologia di gioco l'indagine è una variante dell'avventura grafica: il giocatore è inserito in una narrazione forte dove deve risolvere enigmi e puzzle per svelare un mistero. L'obiettivo finale è il raggiungimento di una verità nascosta: l'assassino, un tesoro, la mente dietro un complotto. Scegliete voi.
Il ritmo è solitamente lento, riflessivo: è la logica, e non i riflessi, a guidare il giocatore.
Non stupisce quindi che il mercato console sia sempre stato un terreno difficile per il genere per via di tante controindicazioni hardware, dalla risoluzione del monitor alla difficoltà di sfruttare il pad.
Con l'uscita di DS e Wii la situazione è mutata a più livelli ed è interessante tratteggiare il panorama in cui l'indagine torna ad avere un ruolo di primo piano. Diversi sono i fattori coinvolti in questo cambiamento.

Il sistema di controllo

Sia DS che Wii permettono l'interazione diretta con un punto dello schermo, meccanismo analogo a quello del mouse ed altrettanto semplice nell'utilizzo. Se, come già detto, pensiamo all'indagine come una particolare declinazione del genere avventura grafica, capiamo subito che il sistema di controllo è terreno fertile per introdurre nuova linfa vitale in puzzle ed enigmi.
Il recente Apollo Justice: Ace Attorney utilizza touchscreen e microfono per arricchire l'indagine di elementi scientifici (come il rilevamento delle impronte digitali) nella forma di minigiochi inseriti nella fase investigativa di ogni caso. Oltre a variare piacevolmente il ritmo, queste sezioni divertono per l'estrema accessibilità: la sfida è sviscerare il delitto, non capire come si utilizza la console. Non si può dire lo stesso di CSI: Dark Motives, gioco di concezione molto meno immediata, infarcito di menu e sicuramente molto meno amichevole. Il piacere dell'indagine passa in secondo piano a fronte di un'interfaccia ipertrofica, inutilmente complessa e scoraggiante.

Il giocatore

Videogiocare non è più un passatempo di nicchia: al contrario è diventata una passione condivisa e socialmente accettata. Il continuo aumento dei giocatori (solo in Italia sono il 27% della popolazione, dati del rapporto AESVI 2006) spinge a progettare giochi più accessibili, adatti a chi non ha alle spalle anni di fruizione.
Proprio la necessità da parte dell'industria videoludica di allargare il target (parlando molto genericamente) del videogioco spinge al recupero di generi appetibili per chi non sia un giocatore così accanito. L'indagine, forte della sua presenza costante in altri media, è sicuramente uno di questi.
Serie come CSI, Law & Order, 24 o Navy NCIS hanno riproposto il tema indagine introducendo il lato scientifico: ogni delitto è misurabile, ricostruibile e analizzabile. E quindi pronto per essere giocato, si può aggiungere. Difficilmente infatti potremmo inserire l'intuito di Poirot in un gioco: come riprodurre i suoi processi mentali, la sua arguzia? Al contrario, un esame del DNA è esatto, numerico per definizione. Funziona.
Abbiamo esempi nella saga di Phoenix Wright o in quella di Touch Detective, ma anche in Agatha Christie: and then there were none e nell'intrigante Hotel Dusk: room 215.
L'indagine è una metafora narrativa socialmente condivisa: non è necessario spiegare quale sia lo scopo del gioco e nei casi più riusciti nemmeno come si gioca. Al contrario l'interazione è naturale perché sfrutta schemi cognitivi assorbiti e rielaborati da altri media.
Pensiamo alla saga di Phoenix Wright: pochi comandi, un solo inventario e azioni dirette, immediatamente comprensibili. Il giocatore viene letteralmente buttato nell'aula di un tribunale. Imparerà il gioco affrontando il suo primo caso. Addirittura la narrazione fornisce per ogni episodio un espediente per giustificare l'inesperienza del giocatore.

Estetica

Se ci muoviamo su un versante puramente estetico, il genere avventura grafica è un campo estremamente stimolante: la natura contemplativa del genere ha spinto gli sviluppatori a ideare soluzioni diverse, a volte antitetiche, per rendere unica l'esperienza ludica. E' molto probabile che si giochi una volta sola ad un'avventura grafica, poiché il fascino della scoperta svanisce con la ripetizione. Naturalmente esistono casi di giochi il cui valore rimane intatto anche alla terza, quarta o centesima partita, ma solitamente è un amore mordi e fuggi.
Colpire visivamente: la serie di Touch Detective è esemplare in questo senso. Contorni marcati, look grottesco, ricchezza di dettagli pur con le limitazioni di DS. Gli elementi visivi servono in questo caso a convogliare un'impressione di visionarietà: il giallo diventa occasione per raccontare un mondo dove i crimini sono assurdi così come i personaggi che vi prendono parte.
Scelta analoga ma di segno opposto quella di Hotel Dusk: Room 215. Riprendendo tratti tipici del fumetto americano e lavorando molto sul testo, il gioco racconta un'indagine torbida e dai contorni noir. Flashback e rompicapi uniti alla costante attenzione ai dialoghi. Anche in questo caso la componente narrativa diventa fondamentale: difficile pensare di applicare le medesime scelte stilistiche ad altro materiale sorgente.

Il futuro

Da questa breve carrellata circoscritta a solo due console è facile intuire come il futuro sia roseo per il giallo (mi scuso per l'infelice gioco di parole): sempre più giocatori, sistemi più accessibili e un processo costante di alfabetizzazione tecnologica che permette di superare tutte le barriere d'ingresso.


Claudio Ortolina
Attualmente partecipa alla direzione di GamesLab, un gruppo di studio videoludico con sede all'Università IULM di Milano (www.gameslab.it). Direttore responsabile di nDSitalia.it e membro dello staff di Wiitalia.it.

25 febbraio 2008

Indagine e Gioco: Gioco con delitto

Oggi ho il piacere di ospitare il Guest Post di Gabriella Aguzzi, sul tema "Indagine e Gioco", leggi il regolamento.

In Inghilterra li giocano ormai da molti anni, sono una vera istituzione. Inviati in ville o castelli, gli ospiti si trovano a dover risolvere misteriosi delitti: qualcuno tra loro muore, qualcuno può essere l’assassino. Sono i Murder Party. Ci sono tanti modi per giocarli: il weekend con delitto, dove per due giorni si è coinvolti nel mistero e, se non è la villa inglese, sono hotel dalla fascinosa struttura, spesso attorniati da grandi parchi, ad ospitare l’evento e un’intricata caccia agli indizi, con attori esperti che guidano il gioco; il murder party live, in cui ognuno dei giocatori ha un ruolo, ed è facilmente organizzabile in feste private; la cena con delitto, che alterna scene recitate all’interrogatorio da parte degli spettatori, in veste di detective; il teatro interattivo che assomiglia alla cena con delitto, ma confina con un vero e proprio spettacolo teatrale in cui il pubblico è invitato ad intervenire...
Da grande appassionata di gialli da sempre non potevo non restare incuriosita, e affascinata, da questa appassionante formula di gioco investigativo. E così è nato il mio incontro con “Murderparty”. Circa dieci anni fa è stato Remo Chiosso, che tutti ricordiamo con affetto, a portare il Murder Party in Italia e il gioco ha continuato a diffondersi. E’ stato sempre Remo ad insegnarmene i segreti, perché poi potessi sperimentare le mie trame.
Il gioco mi ha preso la mano. E, credetemi, non c’è niente di più bello che vedere un gruppo di attori che interpreta i tuoi personaggi e un gruppo di investigatori che si arrovella sulle tue storie nelle più svariate ipotesi. E, anche se tutto si fonda su una trama precisa ed indizi inequivocabili, lo spettacolo prende forma diversa ogni volta.
Non ho mai voluto ripetermi nella soluzione. Così una volta il movente che spinge al delitto è la passione, altre volte l’avidità, altre semplicemente la paura, a volte c’è un assassino machiavellico che trama nell’ombra, altre volte i delitti si intersecano per fatalità. Mi piacciono le ambientazioni d’epoca (la Francia del tardo Ottocento, l’Inghilterra Anni Trenta) e, benché sia un’avida lettrice di romanzi di Chandler e adori i classici del Cinema Noir, l’ispiratrice di ogni murder party resta sempre Agatha Christie, l’esempio per eccellenza dell’impostazione doc del giallo. Mi piace anche (cercando di mantenere l’equilibrio!) giocare diverse trame in contemporanea. Così, mentre con “Murderparty” e con Antonello Lotronto, sta per andare in scena nel mese di marzo al Castello di Clanezzo (nelle vicinanze di Bergamo) un weekend con delitto intitolato “La Trappola del Sorcio”, in cui si indaga sulla morte di un attore shakespeariano all’indomani della nefasta profezia di una medium, alla Contea del Falcone di Lodi (ludoteca e caffè letterario) ho organizzato una serie di “delitti in contea” con una compagnia di giovani e bravissimi attori alla quale si aggregano di giorno in giorno nuovi amici. E una nuova serie di “casi” è in procinto di partire presso la Casa dei Giochi di Milano. A volte organizziamo murder party a tema, come “La Maledizione del Vampiro” che ho scritto a quattro mani con Andrea Morstabilini per la notte di Halloween in Contea.

Gabriella Aguzzi

N.D.R.: Gabriella mi segnala regolarmente i murder party che organizza, mi sembra obbligatorio completare il suo articolo allegando i prossimi:
26 febbraio, Contea del Falcone, Lodi: “La Leggenda del Castello” di Elena e Gabriella Aguzzi. Prenotazioni: info@conteadelfalcone.com
5 marzo, Torre del Naviglio, Milano: “I Delitti di Manor House” di Elena e Gabriella Aguzzi
30 aprile, Contea del Falcone, Lodi: “Tequila surprise” di Gabriella Aguzzi
Per info: gabriaguz@fastwebnet.it www.murderparty.it

partecipate e tornate a raccontarcelo!!

18 febbraio 2008

Indagine e Gioco: la doppia faccia della Criminologia?

Oggi ho il piacere di ospitare il Guest Post di Gianandrea Serafin, sul tema "Indagine e Gioco", leggi il regolamento.

Parlare del rapporto che intercorre fra indagine e gioco, per me rappresenta una novità, dal momento che mi sono sempre interessato alla Criminologia solo da un punto di vista professionale.
In effetti negli ultimi anni si sono sviluppati oltre che un interesse mediatico per la materia, anche un interesse ludico, e la tecnologia ha sicuramente favorito questo sviluppo; in particolare con il proliferare di siti internet a tema, ed ad un livello più commerciale anche serie televisive ed giochi per pc, playstation etc.
Ebbene si, la Criminologia ha iniziato ad uscire dalle sole aule accademiche o di tribunale per approdare sul grande schermo suscitando l’interesse dei molti.
Credo che, prima di entrare nel vivo della questione, sia interessante fare alcuni riferimenti al passato, ed in particolare ai primi scritti e scrittori che si sono occupati di criminologia ed indagine non in senso professionale.
Fra tutti mi premeva citare il grande Conan Doyle, padre del celeberrimo Sherlock Holmes, considerato da molti come il padre del metodo logico-deduttivo e che ha ispirato persino personaggi televisivi contemporanei, per citare uno solo Gil Grissom di CSI: Crime Scene Investigation che con la sua celebre frase “le persone mentono, le prove no” rispecchia bene quel che era la natura del sopraccitato metodo logico-deduttivo; dove l’esame e l’analisi delle prove fisiche (le cosiddette evidence) risulta essere funzionale agli aspetti più deduttivi dell’analisi criminale, attraverso la ricerca di connessioni fra le prove stesse ed il presunto autore di reato.
Una seconda citazione, per atro doverosa, va all’ideatore dei cosiddetti “delitti della camera chiusa”, sto parlando ovviamente del noto scrittore Edgar Alan Poe. L’ipotesi di un delitto che avviene in una camera chiusa e risulta essere senza movente, senza colpevole e persino senza arma del delitto, per altro è molto in linea con il tema del gioco per i numerosi risvolti a cui può dare origine. Per il meno esperti, ricordo la discussa questione del cosiddetto “omicidio perfetto”, questione particolarmente complessa e apparentemente risolta con la considerazione che in realtà “l’omicidio perfetto non sarebbe realizzabile, ma solo un’indagine imperfetta quale unica causa della irrisolvibilità dell’enigma”. Questione peraltro condivisa dal sottoscritto.
Per continuare questa breve analisi del rapporto fra investigazione e gioco, ricordo di alcune interessanti iniziative che nel corso degli anni si sono susseguite nel territorio italiano. In particolare le “cene con delitto”, incontri crimino-ludico-culinari, dove durante la cena i commensali sono coinvolti nell’analisi di un delitto (più o meno inventato), attraverso la presentazione e l’esame delle prove. Al risolutore del caso, infine, viene fatto un regalo.
Con l’avvento delle serie tv come la sopraccitata CSI, Criminal Minds, NCIS, etc, anche il gioco ha iniziato ad interessarsi dell’investigazione.
Ricordo che qualche anno fa anche la nota rivista Focus propose ai suo lettori i videogiochi della serie televisiva più famosa con ambientazione a Las Vegas e Miami.
Interessante la possibilità che il pc offre al giocatore di addestrarsi nei meandri dell’investigazione scientifica, ed in particolare delle metodologie che la criminalistica offre agli operatori della polizia scientifica che intervengono direttamente sulla scena del crimine. I giochi di CSI: Crime Scene Investigation ne sono un esempio, tant'è che anche la stessa polizia scientifica italiana si adoperò, alcuni anni fa per ricreare un simulatore virtuale di sopraluogo da utilizzare per l’addestramento dei propri operatori. Simulatore che, per altro, è stato proposto in edicola anche dalla rivista Newton in allegato ad un numero speciale tutto dedicato alla polizia scientifica.
Il simulatore, realizzato con sofisticati software 3D, permette di entrare nel vivo dell’attività di polizia scientifica attraverso quello che viene comunemente chiamato “sopraluogo sulla scena del crimine”.
Tutto inizia con la chiamata dei reparti territoriali, che attraverso messaggi registrati che danno alcune informazioni sulla notizia criminis. Da cui l’operatore man mano che si avvicina alla scena del crimine incontra i testimoni oculari, anch’essi attraverso messaggi vocali registrati, fino ad arrivare in prossimità del luogo in cui è situato il cadavere.
Da cui in avanti starà all’operatore/giocatore di adoperarsi nelle azioni più opportune: una prima fase della simulazione consisterà nell’esame del cadavere, e della lettura del verbale del medico legale. Fino ad una vera e propria attività di repertamento degli indizi, esaltazione delle impronte visibili/latenti attraverso polveri e reagenti chimici, etc…
La parte interessante consiste nel fatto che il simulatore prevede per ogni azione una serie di ipotesi giuste o sbagliate fra le quali scegliere. Una volta fatta la scelta (o anche più di una) lo stesso simulatore riferirà se la procedura è corretta o meno.
Alla fine del sopraluogo e della ricerca delle prove, si dovrà compilare un verbale in gergo tecnico chiamato “fascicolo di sopraluogo” che conterrà tutte le notizie salienti sul crimine, sulla repertazione degli indizi e su tutte le attività svolte in sede di sopraluogo.
In conclusione di questo breve excursus sulla relazione che vi può essere fra i due campi opposti dell’investigazione, con l’introduzione degli aspetti ludici della Criminologia, scienza che attualmente va “molto di moda” ma che ci tengo a ricordare si occupa spesso di situazioni di disagio psichico e sociale; spero di aver presentato in maniera interessante anche quegli aspetti per cosi dire meno cupi della materia e che si prestano anche ad offrire momenti di spensieratezza attraverso le modalità ludiche che fino a qui vi ho illustrato.

dr. Gianandrea Serafin
E-Mail: gianandrea.serafin@libero.it
http://criminologo.iobloggo.com/

11 febbraio 2008

Indagine e Gioco: la “mosca cieca” è quella che non vede bene?

Oggi ho il piacere di ospitare il Guest Post di Gloria Mazzeo, sul tema "Indagine e Gioco", leggi il regolamento.

Potrebbe sembrare banale, ma per evitare fraintendimenti credo sia necessario iniziare esplicitando cosa intendo quando parlo di gioco. Il concetto rimanda, ringraziando i numerosi dizionari enciclopedici consultati, ad un'attività ricreativa, ad un passatempo che può coinvolgere una o più persone, ovvero i giocatori, che ha alla base degli elementi fondamentali: l’obiettivo da raggiungere nell’ambito del gioco, le regole da seguire per farlo e gli eventuali ammonimenti per la trasgressione della regola. Oltre ad essere opportunità di intrattenimento, il gioco si è rivelato molto spesso ottimale nell’ambito educativo: si pensi ad esempio ai giochi basati sulle lettere, sulla memoria, sul ragionamento, senza però trascurare l’elemento “ics”, la fortuna, da non sottovalutare ad esempio, nei giochi d’azzardo.
Non tutti sanno che il gioco è materia di studio vera e propria e che discipline illustri ed applaudite vengono coinvolte nell’analisi del “momento ludico”. Di giochi, e conseguentemente di studiosi del gioco ce ne sono moltissimi, così come di divergenti teorie. Caratteristica comune che mi permetto di evidenziare è quella di “gratuità” del gioco. Non è necessario che ci siano soldi e o montepremi, ogni volta che si gioca si ha un atteggiamento ricorrente: sia di sfida, anche contro se stessi, sia di formazione, che non necessariamente richiedono il raggiungimento di un traguardo a premi.
Per chi volesse approfondire, tra le diverse discipline ricordo l'approccio filosofico di Johan Huizinga, ad esempio, nell'opera Homo ludens (1938) che vede il filosofo olandese concentrato sul gioco come complesso sistema culturale, ancora Gregory Bateson, invece, che individua l'essenza del gioco nel suo essere metalinguaggio poiché i giochi sono qualcosa che "non è quello che sembra" stabilendo una metacomunicazione. E’ la psicologia che più di ogni altra disciplina ha visto nel gioco un vero e proprio protagonista dello sviluppo della personalità del bambino. Si pensi ai contributi di Jean Piaget, cognitivista che riconosce al gioco una funzione centrale nello sviluppo della sfera cognitiva personale e della personalità e dello psicologo russo Lev Vygotskij, che considera il gioco anche come forza attiva per l'evoluzione affettiva ed umana del ragazzo. Da sociologo mi soffermerò un po’ di più su questo approccio, sostenuto da Roger Caillois (Reims, 13 marzo 1913 – Kremlin-Bicêtre, 21 dicembre 1978) scrittore, sociologo e critico letterario francese. Il gioco viene analizzato dallo studioso alla luce di molteplici caratteristiche:
  • Libera: il giocatore non può essere obbligato a partecipare;
  • Separata: entro limiti di spazio e di tempo;
  • Incerta: lo svolgimento e il risultato non possono essere decisi a priori;
  • Improduttiva: non crea né beni, né ricchezze, né altri elementi di novità;
  • Regolata: con regole che sospendono le leggi ordinarie;
  • Fittizia: consapevole della sua irrealtà.

L’autore propone una classificazione dei giochi in base a quattro categorie:
  • Giochi di competizione: sia sportive che mentali;
  • Giochi di azzardo: tutti i giochi dove il fattore primario è la fortuna;
  • Giochi di simulacro: i cosiddetti "giochi di ruolo" dove si diventa "altro", ovvero, si simula;
  • Giochi di vertigine: tutti quei giochi in cui si gioca a provocare noi stessi.

Sulla base di queste classificazioni, Caillois costruisce una sociologia che parte dai giochi in quanto "segni" profondamente connotati, sintesi delle diverse concezioni del mondo e delle società in cui sono in uso.

Ma dal contributo di Caillois a oggi, che cosa è cambiato?
Molto, oserei dire, troppo. Mi spiego: in uno spazio temporale relativamente ristretto la società si è evoluta in dimensioni e tipologia, in modo più che repentino. I ruoli, i mestieri, gli adulti, i bambini, i contesti e le relative linee di demarcazione sono cambiate, in alcuni punti si sono ristrette, in altri sono diventate inesistenti. E’ impensabile che il gioco, elemento educativo, non ne venisse travolto. Faccio un banale, ma reale esempio che mi ha fatto tanto sorridere: se trenta anni fa giocare a mosca cieca era un divertente passatempo, oggi non è nemmeno elencato tra i giochi dai bambini. In una mia ricerca empirica condotta presso una scuola elementare di Roma, alla domanda “come si gioca a mosca cieca”, alcuni bambini hanno risposto di non saperci giocare, altri che non sanno neanche della sua esistenza e altri ancora hanno dato risposte di fantasia dicendomi che è una mosca che va aiutata perché non vede bene!
Gli stessi intervistati hanno dimestichezza da maestri nei giochi on-line, che sono ormai entrati prepotentemente a far parte del moderno divertimento.
Perché riscuotono tanto successo? Per diversi motivi: sono facilmente fruibili, a disposizione 24 ore su 24, non richiedono interazione e quindi confronto diretto con nessuno, non necessitano di spazi esterni alla propria casa, che purtroppo ahimé oggi rappresentano anche un pericolo oggettivo, senza dimenticare che a volte questi giochi, dalla play-station ai giochi in rete, rappresentano dei veri e propri “baby-sitter” su misura e collaborano con i genitori impegnati entrambi fuori dal focolare domestico. Al giocatore permettono, spero solo per il tempo necessario dedicato al gioco, di assumere un’altra identità, di diventare qualcuno di diverso da sé, di lasciarsi andare lontano dagli sguardi indiscreti ed indagatori non solo di genitori, insegnanti ed educatori, ma anche di mogli (e mariti), colleghi e altri ruoli appartenenti al mondo adulto. Il gioco, in particolare quello on-line, rappresenta un momento tutto personale da gestire in piena autonomia, ma ha il rovescio della medaglia (così è la vita!), e da studiosa sarei sciocca a non considerare i possibili effetti.
Se da un lato il passatempo via internet facilita la dimestichezza con il computer e con la rete mondiale, dall’altro paradossalmente ci allontana dagli altri. Siamo soli col nostro PC nella nostra camera, e grandi o piccoli, non importa entriamo in un mondo parallelo. I rischi? I sostenitori della visuale più catastrofica affermano che ci possano essere effetti molto nocivi, come la dipendenza dal gioco ad esempio, quelli più ottimisti, che non c’è nessun pericolo. Io mi colloco, come qualche saggio prima di me, nel giusto mezzo. I rischi possono esserci a determinate condizioni con determinati soggetti. L’uso del PC è oggi diffusissimo e parlare dei soggetti che ne usufruiscono suddividendoli per fasce di età, lo trovo un po’ demodè. Le postazioni Internet sono ovunque: casa, ufficio, Internet-point. Il fenomeno investe trasversalmente la società: l’accesso è semplice, poco controllabile e i costi molto ridotti. Non mi sento assolutamente di condannare questa risorsa, perché la reputo tale, ed il gioco in se per sé non può e non deve costituire un problema. Problematico, al contrario potrebbe essere, il messaggio che i fruitori percepiscono, ognuno secondo la propria inclinazione. Sapere che si partecipa ad un gioco on-line vuol dire accettare di entrare in un mondo fatiscente ed irreale che necessita della distinzione netta tra verità e finzione. Ovviamente, non può un gioco insegnare questo, specialmente dove non c’è la presenza di una persona in “carne ed ossa” che spieghi le regole. Il distacco tra il mondo reale ed ir-reale è (o dovrebbe essere) un a priori e se alcuni soggetti recepiscono un messaggio diverso da quello originale inviato dal mittente, la causa non può essere ricercata nel messaggio. Probabilmente non c’è stato un adeguato lavoro di formazione ed educazione tale da far nascere nel soggetto-destinatario la consapevolezza che esiste un piano parallelo alla realtà, si pensi alle produzioni cinematografiche, televisive e alle simulazioni in genere, che esistono contemporaneamente alla realtà, ma che non lo sono.
Credo che ogni fenomeno sociale dovrebbe essere considerato alla luce del contesto di riferimento e all’identità personale del soggetto. Il gioco è un elemento di primaria importanza nella crescita e nella socializzazione a tutte le età. I pericoli che possono derivare da un qualsiasi gioco andrebbero di volta in volta studiati in relazione ai destinatari, pertanto l’errore più grande che un ideatore e uno studioso del campo possano commettere è quello di peccare di leggerezza e superficialità. Pur riconoscendo l’alto grado di complessità di una previsione in tal senso è, oggi più che mai, indispensabile a mio avviso che gli addetti ai lavori programmino una pianificazione molto dettagliata.

Dottoressa Gloria Mazzeo
Sociologo e Criminologo
e-mail gl.mazzeo@tiscali.it

04 febbraio 2008

Indagine e Gioco: L'occhio clinico

Oggi ho il piacere di ospitare il Guest Post di Martina, sul tema "Indagine e Gioco", leggi il regolamento.

Secondo il commissario Montalbano, il famoso personaggio nato dalla penna di Andrea Camilleri, la caratteristica più importante di un investigatore è l'occhio clinico.

L' "occhio clinico" è un particolare modo di osservare la realtà.
Avere occhio clinico significa saper individuare e valutare in maniera precisa ed intelligente i dettagli e le differenze più minute. L’occhio clinico è il fattore veramente essenziale in tutte le diagnosi e le deduzioni di successo. Avere occhio clinico significa inoltre avere occhi per saper vedere e orecchie per saper ascoltare. Significa avere memoria per ricordare e per richiamare alla mente al momento opportuno un'immagine capace di formulare una teoria o di rimettere insieme gli anelli di una catena spezzata o di districare un filo impigliato.


Esempio di occhio clinico

Da Arthur Conan Doyle, “Avventure e ricordi”, descrizione del dr. Joseph Bell, chirurgo dell'infermeria di Edinburgo, dal quale l' autore ha preso spunto per il personaggio di Sherlock Holmes:

- dunque, brav'uomo, voi avete servito nell'esercito?
- sissignore
- e non è da molto che siete congedato?
- nossignore
- eravate in un reggimento di "Hightlanders"?
- sissignore
- sottufficiale?
- sissignore
- di stanza a Barbados?
- sissignore
- vedete signori - ci spiegò - costui è un uomo rispettoso, ma non si è tolto il berretto. Ciò non si fa sotto le armi, ma lo avrebbe imparato se fosse stato congedato già da tempo. Ha poi un'aria autoritaria, ed è indubbiamente scozzese. In quanto a Barbados, la infermità è l'elefantiasi, tipica delle Indie Occidentali, e non dell'Inghilterra.

Introdotta una donna con un bambino il dr. Bell chiese:

- come è andato il viaggio da Burnisland?
- è stato buono
- e avete fat to una passeggiata per Inverleith Row?
- si
- e che avete fatto del fratellino?
- l'ho lasciato da mia sorella
- e lavorate ancora nella fabbrica di linoleum?
- si
Vedete signori, quando mi ha salutato ho notato il suo accento del Fife e la città più vicina del Fife è Burnisland. Notate l'argilla rossa i bordi delle suole e l'unica argilla di quel tipo qui intorno è nell'orto botanico di Inverleith Row. Avete notato che il cappotto che reggeva era troppo grande per il bambino che era con lei e perciò è uscita con due bambini. E per finire,ha una dermatite sulle dita della mano destra, che è caratteristica peculiare dei lavoratori della fabbrica di linoleum di Burnisland.


Il metodo che viene seguito dal medico scozzese dottor Bell, ispiratore del personaggio di Sherlock Holmes, è il seguente:
- iniziale osservazione
- inferenza abduttiva
- de duzione finale.

In questo modo, usando la logica, e non tirando ad indovinare, il perito o l’investigatore deve partire dalla fine per arrivare al principio. E’ un modello di ragionamento che viene definito regressivo o analitico.

L'occhio clinico messo in atto dall’esempio sopra riportato non è un occhio magico o un occhio divinatorio, ma è un occhio logico, razionale in grado di effettuare diagnosi rapide sulla base di pochi segni. Tutto ciò è il frutto di un inconsapevole lavoro mentale effettuato in brevissimo tempo.

L’abilità dell’occhio clinico consiste nel poter dare a ciascun segno il proprio "peso" esatto, sia che il segno sia rilevante che insignificante. Le qualità per poter sfruttare le intuizioni dell’occhio clinico si basano, comunque, su dei presupposti quali ad esempio: la cultura, l’esperienza, la flessibilità ragionativa, la fa ntasia.

La flessibilità ragionativa potrebbe essere definita come la capacità di riconoscere rapidamente le contraddizioni logiche delle osservazioni fatte, oppure le possibilità di avvaloramento deduttivo. La fantasia, nella fattispecie, potrebbe essere definita come la capacità di saper richiamare alla mente rapidamente anche aspetti insoliti o poco frequenti che sono stimolati da sfumature o particolari impercettibili.

C’è da dire comunque che l’’occhio clinico' da solo comunque non basta, il presupposto fondamentale è avere una mente piena di ipotesi alternative fra cui scegliere quelle più aderenti alla logica emergente ed in grado di spiegare i fatti o gli eventi. Ipotesi che permettono di cogliere opportunamente anche i fatti che sarebbero rimasti insignificanti o ignorati. Queste ipotesi devono essere formulate da subito, non appena si iniziano a raccogliere i primi dati e le prime osservazioni, per fare in modo che tutto ciò che successivamente si aggiunge sia a conferma o a disconferma.

Martina

28 gennaio 2008

Indagine e Gioco: Macchiavelli sosteneva

Oggi ho il piacere di ospitare il Guest Post di G.Popolare, sul tema "Indagine e Gioco", leggi il regolamento.

Macchiavelli sosteneva: "A capire se una risposta è giusta ci vuole poco, ma per essere sicuri che una domanda è formulata nella maniera giusta ci vuole una mente creativa."
Tra le cose che un investigatore dovrebbe fare al meglio, soprattutto agli inizi della sua carriera, è l’arguzia nel formulare domande precise per ottenere le adeguate risposte su ciò che si intende sapere.
Ovviamente non si tratta di una cosa facile. Ci vogliono adeguate maturità ed una lunga esperienza nel campo per raffinare la tecnica, ma soprattutto bisogna essere dotati di una intelligenza creativa che ponga a se stessi, inizialmente, la domanda in questione, e questo per capire quante risposte possibili ed equivoche abbia, e, spulciando tra queste, eliminare quelle che potrebbero non avere nessuna utilità all'indagine.
Capisco che sembra un discorso abbastanza surreale ma vediamo qualche esempio pratico.
Dicevamo che ci interessava capire se la domanda è giusta ma per sapere ciò dobbiamo procedere al contrario per esercitarci a questa difficilissima disciplina.
Esempio: Questa è una definizione tratta da un cruciverba: Si inietta quello della verità
Risposta: siero
Ora quello che intendo sostenere (e capisco che la cosa può suscitare perplessità) è che la domanda è sbagliata! Siero sarebbe stata anche la risposta per queste domande: C’è quello antivipera oppure Il liquido che rimane dopo la solidificazione del formaggi o ancora Si può separare dal plasma sanguigno per tutte queste domande la risposta rimane sempre la stessa: siero. Dunque qual è la domanda giusta tra queste? Ora è ovvio che noi associamo alla parola siero diversi significati in base alla domanda che viene posta, ma ipotizziamo di avere solo la risposta (siero) e di dovere risalire alla domanda, capirete immediatamente che ci si trova di fronte a troppe possibilità per poter dare una risposta sicura al nostro quesito.
Allora il gioco che propongo è questo: siete in grado di formulare risposte che abbiano una e una soltanto domanda possibile?
A me era venuto in mente “Garibaldi”, ma attenzione Garibaldi soltanto! Senza Giuseppe davanti!
La domanda dunque era questa: “Sigaro italiano con il nome di un condottiero” la risposta qui sembrava una sola ma in realtà un amico mi ha fatto notare che anche la domanda: “Cognome italiano diffusosi molto dopo la battaglia di Mentana”. Anche qui la risposta sembra essere Garibaldi senza Giuseppe davanti…ma ho qualche dubbio che la sua sia una domanda giusta…preferisco la mia!