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21 maggio 2008

Feti nel congelatore: Sindrome di Medea (Ultima parte)

Ricapitolando, il Mito greco narra di Medea che per vendetta nei confronti del marito uccide i propri figli.
Nella realtà la “Sindrome di Medea” presenta esattamente le stesse caratteristiche, pur avendo di base una madre che, di solito, è sofferente dal punto di vista psicologico - psichiatrico.
Queste donne, quando la relazione “di coppia” diventa ostile, utilizzano il figlio come “oggetto” per far soffrire il proprio compagno, cioè il padre.
Si può avere il caso di un omicidio singolo, di massa (con diversi figli uccisi insieme), oppure, seriale, (se i figli sono uccisi in momenti diversi fra loro).
La cronaca e i testi più specifici ricordano i casi di Ellen Etheridge del 1913 in Texas (uccise 4 figli) e Martha Ann Johnson 1977-1982 in Georgia (anche lei uccise 4 figli). A volte figli possono essere usati come arma di ricatto nei confronti del coniuge per non essere abbandonate e per vendetta per i torti subiti dallo stesso.
In Italia, possiamo ricordare Apollonia Angiulli che a Ostia, nel febbraio 1988, annega nella vasca da bagno di casa, due dei suoi tre figli, di 1 e 5 anni. Racconta e convince la polizia che si è trattato di incidente e non desta nessun sospetto. Ma quando il 9 marzo 1991, muore nello stesso modo il terzo figlio di 8 mesi, la Angiulli tenta il suicidio, viene salvata e arrestata. Indagini più approfondite scoprirono che la relazione coniugale della Angiulli era molto critica e l’uccisione dei figli era un “modo di attirare la attenzione del partner”.
Alla Angiulli è stata riconosciuta una parziale infermità mentale e la donna non è mai entrata in carcere né in ospedale psichiatrico.

Cosa c’è di più sconvolgente di una madre che uccide i propri figli?
L’immaginario collettivo non rimane tanto inorridito quanto davanti a notizie di questo genere. La “madre” è da sempre, (e secondo il mio modesto parere, lo sarà sempre) percepita dalla collettività come figura “contenitiva”, ed è difficile, pertanto, pensare a lei come a un soggetto che “toglie” la vita. Nessuna morale religiosa. E’ vero, anche i padri uccidono, non sporadicamente purtroppo, ma non sconvolgono tanto quanto se a farlo è una madre, questo perchè la figura materna è “generatrice”, per eccellenza.
Quando una madre uccide, nella maggior parte dei casi lo fa verso figli molto piccoli di età, possiamo parlare, infatti, di infanticidio (0-3 anni circa), ed è proprio questo il dato che desta orrore. Anche se i padri possono rendersi autori di un reato uguale, (generalmente) le vittime, ovvero i figli, sono più grandi, probabilmente in età adolescenziale, periodo di ribellione del figlio che vede la possibile “messa in discussione” del ruolo paterno\genitoriale. Ovviamente questo non giustifica assolutamente la realizzazione del reato, ma è solo una chiave di lettura della tipologia del reato in sé.
In questi casi la famiglia è come un “quadro” di una galleria dell’orrore, di quelli che non vorremmo mai venissero esposti, nel quale l’unico “punto di fuga” è tecnicamente quello della prospettiva, e non quello della vittima alla quale non è riservata nessuna “via di fuga”.

GM

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